I boschi di castagno (Castanea sativa) sono conseguenza della presenza dell’uomo, che ha pazientemente diffuso questa specie mediante opere di piantagione in varchi aperti nelle foreste naturali. Il castagno è stato per secoli una fra le più principali fonti di cibo delle popolazioni appenniniche.
Le pratiche colturali legate alla produzione di castagne includono lo sfalcio del sottobosco; l’asportazione del fogliame secco (usato come lettiera per il bestiame); l’allontanamento periodico delle specie arbustive e arboree del bosco naturale che tendono ad invadere i vuoti fra un castagno e l’altro (obiettivo è quello di ottenere un sottobosco pulito che non ostacoli la raccolta delle castagne dal terreno). Nei castagneti da frutto i grossi esemplari si trovano a grandi distanze gli uni dagli altri, così da permettere una migliore esposizione al sole; i prati che si formano sotto questi boschi venivano talvolta usati per il pascolamento del bestiame.
In ambito della valle del Sillaro i castagneti sono sostitutivi di boschi di querce, in particolare boschi di querce e carpino nero; i popolamenti di castagno più interessanti sono quelli di piante secolari che circondano l’Oasi termale di Zello e quelli del versante settentrionale dei Casoni di Romagna, fra loc. Cà dei Signori e loc. Cà del Monte.
I castagneti, da considerarsi “foreste artificiali”, se lasciati a sé stessi regredirebbero modificandosi nel senso dei boschi spontanei, così come riscontrabile nei castagneti sovrastanti loc. Cà del Monte, al confine fra la media e l’alta valle del Sillaro. I boschi abbandonati di castagno trovano al loro interno la presenza di cespugli come la calluna (Calluna vulgaris), l’erica (Erica arborea) e la felce aquilina (Pteridium aquilinum).
È di sicuro interesse una visita all’Oasi termale di Zello (parte del Villaggio della Salute Più), un antico podere circondato da castagneti secolari e fonti termali recentemente riscoperte.
Nota da anni ai cultori delle ecoterapie e del contatto con la natura, oggi l’Oasi termale di Zello è un centro di cure ecologiche e naturali integrate. Il nome “oasi” racchiude significativamente le caratteristiche di questo posto: una natura incontaminata tra boschi e castagneti, una bellissima casa del 1200 e due sorgenti termali riconosciute dal Ministero della Salute (una sulfurea e una bicarbonato-solfato-calcica) che sgorgano con naturalezza dalle colline.
Ai giorni nostri i castagneti da frutto coltivati secondo le modalità del passato sono pochi e nelle vicinanze della valle del Sillaro si trovano nella zona di Castel del Rio, terra del Marrone IGP (Indicazione Geografica Protetta), qui tradizionalmente coltivato da oltre 500 anni.
Le specie
Castagno (Castanea sativa): il legno di castagno è caratterizzato da grande durevolezza e resistenza all’umidità, perciò si presta per l’impiego come legno strutturale e tradizionalmente usato per molteplici impieghi fra cui la realizzazione di travi, pali, infissi, doghe per botti, cesti e mobili.
Il frutto è utilizzato da tempi antichissimi per la produzione di farina di castagne. Questo impiego ha oggi un’importanza marginale e circoscritta alla produzione di dolci tipici, come il castagnaccio. Ancora diffusa è la destinazione dei frutti di buon pregio (specialmente nella variante Marrone) al consumo diretto, concentrato nei mesi autunnali, e alla produzione industriale di confetture e marron glacé.
La corteccia, grazie al suo elevato contenuto di tannini, viene da sempre utilizzata come astringente in caso di problemi intestinali ed è inoltre un ottimo astringente cutaneo. Le foglie di castagno svolgono un’efficace azione calmante e sedativa in caso di tosse convulsiva, sono ottime nella cura di malattie da raffreddamento e in caso di disturbi delle vie respiratorie. Per uso esterno anche le possiedono efficaci proprietà astringenti e in molti casi anche batteriostatici. Dall’infuso delle foglie è possibile ottenere un buon shampoo per capelli secchi che può essere fatto e usato anche in casa; l’acqua necessaria per l’infusione potrà poi essere impiegata per risciacquare i capelli dopo che sono stati lavati con un normale shampoo detergente.


Calluna o brugo (Calluna vulgaris): un tempo il brugo veniva usato per produrre scope.
Per uso interno (si usano le sommità fiorite in infusione) la Calluna Vulgaris ha proprietà specifiche sui disturbi delle vie urinarie. I suoi decotti sono particolarmente attivi nelle infiammazioni dell’apparato uro-genitale, in quanto aumentano la secrezione urinaria. Contemporaneamente, per l’alto potere astringente, legato al contenuto in tannini, è utile nei casi di infiammazione intestinale, mentre dosi troppo elevate possono al contrario irritarlo. Per uso esterno può essere impiegata per attenuare le infiammazioni e le infezioni delle mucose della bocca, delle gengive; le sommità fiorite sono impiegate come lavaggio o impacchi per trattare le mucose infiammate e le pelli arrossate con foruncoli.

Erica (Erica arborea): il suo legno rossiccio è duro e pregiato ed è il materiale più utilizzato nella costruzione dei fornelli da pipa. La parte utilizzata per ottenere la pipa è quella nodosa della base, in angolo, il cosiddetto “ciocco”. Nella tradizione contadina, la radica aveva anche altri usi: i rami secchi, ad esempio, erano usati per accendere il fuoco o per fare le classiche scope rustiche. Sempre secondo gli usi tradizionali, la pianta veniva impiegata nella tintura delle matasse di lana e di altre fibre. Infine, il ciocco e i rami permettevano di ottenere un particolare carbone vegetale dotato di elevato potere calorifico, aveva lunga combustione e veniva usato soprattutto dai fabbri.
L’erica è una pianta cui vengono attribuite diverse proprietà fra cui le attività diuretiche, colagoghe, antireumatiche e antibatteriche. Inoltre si ritiene che la pianta – se impiegata esternamente – sia anche in grado di favorire la guarigione delle ferite. Tuttavia, al momento non vi sono studi disponibili in grado di confermare le sopra citate proprietà che tradizionalmente vengono ascritte all’erica. Nonostante ciò, la pianta viene comunque impiegata all’interno di tisane per il trattamento di infiammazioni delle vie urinarie, cistiti, ecc.

Felce aquilina (Pteridium aquilinum): la felce aquilina contiene un principio attivo di tipo enzimatico termolabile (tiaminasi o neurinasi) che provoca la distruzione della tiamina (Vitamina B1). L’ingestione di questa pianta da cruda può provocare gravi avvelenamenti, potenzialmente letali, nell’uomo e negli animali monogastrici (soprattutto nel cavallo), mentre sarebbero tolleranti i ruminanti, in grado di sfruttare largamente la tiamina operata dalla microflora del rumine.
Pare che le foglie di felce allontanino le cimici e i parassiti dall’uomo.

I boschi di castagno rappresentano un altro habitat estremamente ricco di risorse alimentari e dunque molto frequentato da diverse specie animali.
Un esempio è il tasso (Meles meles), tra i più grandi rappresentanti europei dei Mustelidi. Seppur facile da identificare per la sua livrea grigia e il muso bianco e nero, non lo è per nulla da osservare, date le sue strette abitudini notturne: ecco infatti un motivo in più per andare piano in auto di notte, perché talvolta può capitare di incrociarlo mentre attraversa la strada! Un caratteristico segno di presenza del tasso sono le “latrine”: piccole buche scavate nel terreno, spesso nelle vicinanze delle tane, riempite via via di escrementi. Dotato di unghie potenti per scavare alla ricerca di cibo e per la costruzione di tane a più ingressi, il tasso è un animale plantigrado; le sue impronte si riconoscono infatti per la presenza della pianta, delle dita e degli unghioni, proprio come un “piccolo piede”.

Il capriolo (Capreolus capreolus) è il più piccolo rappresentante della famiglia dei Cervidi presente in Italia, con un peso di 20-25 kg. La taglia ridotta, i palchi corti e triforcuti dei maschi, oltre al candido specchio anale permettono di riconoscere questo comune ungulato, distribuito in tutta la fascia collinare e montana della regione, nonché relativamente diffuso anche nelle zone planiziali, dove sfrutta i boschi ripariali lungo i fiumi con habitat. Il capriolo è un animale territoriale: il maschio marca attivamente l’area che difende, dove intercetta le femmine per l’accoppiamento nei mesi di luglio e agosto. Oltre a “fregoni” (strofinamento dei palchi su alberi) e “raspate” (strofinamento degli zoccoli sul terreno), il capriolo difende il territorio con il tipico “abbaio”: simile a quello del cane è un segnale acustico di invasione territoriale, che spesso si può sentire anche quando si cammina. Ma nessun timore: il capriolo scapperà intimorito dalla nostra presenza!

Il cinghiale (Sus scrofa) è l’unica specie appartenente alla famiglia dei Suidi presente nella nostra penisola. Specie oggetto di reintroduzioni recenti a scopo venatorio, è uniformemente distribuita e facilmente riscontrabile direttamente o tramite l’osservazione delle tracce di presenza. Le classiche “arature” presenti ai margini dei sentieri o nel mezzo dei prati o campi testimoniano l’onnivoria tipica della specie: con le zanne e il rigido grifo (muso), il cinghiale va alla ricerca di tuberi, bulbi, radici, insetti e larve, roditori e tutto ciò può essere presente sotto al primo strato di terreno. Ben riconoscibile è anche la sua impronta, formata da due zoccoli paralleli ma leggermente divergenti in cima, e dagli speroni retrostanti, che lasciano sul terreno un’impronta quasi perpendicolare rispetto agli zoccoli. Il cinghiale è specie gregaria, con struttura matriarcale: i gruppi di femmine con piccoli fino ai 18 mesi d’età possono arrivare a contare anche 40 esemplari. Successivamente i maschi si imbrancano tra loro fino a diventare solitari a partire dai 3 anni circa.

Il cinghiale e il capriolo sono le prede preferite dell’unico grande predatore presente nel territorio: il lupo (Canis lupus). Dopo essere stata assente probabilmente per secoli, questa specie è tornata naturalmente a partire da una ventina d’anni anche nella Valle del Sillaro, grazie alla rinaturalizzazione delle aree montane e collinari. Il ritorno di questo splendido animale è stato determinato da un habitat sempre più adatto alla vita delle sue prede di elezione, gli ungulati selvatici, a seguito del processo di urbanizzazione che ha loro ridato spazio. Senza dimenticare l’importanza della sua protezione legale a partire dal 1971 e sottolineando le capacità di movimento del lupo (può spostarsi anche per centinaia di chilometri alla ricerca di un territorio!), si completa il quadro ecologico che spiega la ricomparsa di questo animale anche verso la pianura, spinto dalla maggiore densità di popolazione sugli alti crinali. Presente in tutta la penisola italiana con una sottospecie unica al mondo (C. Lupus italicus, il lupo appenninico), questo animale vive in gruppi familiari di 6-7 esemplari, organizzati in una gerarchia maschile e una femminile. Schivo e timoroso nei confronti dell’uomo, è estremamente difficile osservarlo in natura. Nonostante ciò è relativamente facile incontrare i suoi segni di presenza: le marcature fecali, riconoscibili per le grosse dimensioni e la composizione quasi esclusiva di peli delle sue prede, sono situate spesso su incroci di sentieri, piccole selle o luoghi dove è possibile una rapida e potente diffusione dell’odore.

