Nell’ambito delle colline e delle zone sub montane, dove le attività antropiche comportano anche il dissodamento ed il rimaneggiamento dei terreni, si sviluppano raggruppamenti vegetali che includono specie considerate infestanti e altre più durevoli nel tempo che si insediano su corpi di frana, ai margini dei coltivi o nei campi abbandonati.
Su questi ultimi terreni confluiscono essenze dagli ambienti circostanti, come ad esempio specie dei prati permanenti (brometi), dei cespuglieti, dei boschi xerofili e talvolta anche piante che si trovano nei saliceti e lungo i corsi d’acqua. Si tratta generalmente di flora erbacea ma, in presenza di alcune condizioni particolarmente favorevoli, si assiste alla proliferazione incontrollata di piante arbustive e lianose come la vitalba (Clematis vitalba), varie specie di rovi (Rubus ulmifolius, Rubus caesius) e la rosa canina (Rosa canina).
Nei campi che hanno subito un abbandono recente si insediano in un primo momento le ginestre o i prugnoli (Prunus spinosa) che a volta costituiscono in queste situazioni arbusteti folti e impenetrabili.
Le specie
Vitalba (Clematis vitalba): ha comportamento rampicante con fusti ramificati e si allunga anche oltre i 20 metri sugli alberi, sviluppando alla base tronchi legnosi piuttosto grossi; è velenosa per la presenza di alcaloidi e saponine, in particolare la protoanemonina, che si accumula soprattutto negli organi più vecchi: può provocare irritazioni cutanee al contatto.
In cucina si utilizzano i germogli primaverili per le frittate: a causa delle tossine è consigliabile non consumarne grosse quantità. Bisogna utilizzare esclusivamente le parti molto giovani della vitalba in cui la concentrazione delle sostanze tossiche è molto bassa.
In passato le foglie fresche erano utilizzate per realizzare cataplasmi e come revulsivo energico contro artriti, sciatiche e gotta, tuttavia il suo utilizzo aveva un effetto vescicatorio che provocava ulcere dolorose.

Rovi (Rubus ulmifolius, Rubus caesius): si tratta di piante note a tutti, utilizzate anche per delimitare proprietà e poderi (con funzioni principalmente difensive) sia per le numerose e robuste spine che ricoprono i rami, sia per il fitto e tenace intrico che essi formano, creando una barriera pressoché invalicabile.
Le siepi di rovo forniscono nettare per la produzione del miele, anche monoflorale; svolgono una utile funzione nella associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture (ad esempio le viticole) e nella formazione di corridoi ecologici per specie animali.
I germogli si prestano per minestre, zuppe, risotti, frittate, o semplicemente per essere lessati e conditi con olio extravergine d’oliva, sale e aceto di mele.
Le more si mangiano al naturale o si usano per sciroppi, succhi, gelatina, marmellata, salse, liquori, sotto grappa. Inoltre, schiacciate e lasciate fermentare, danno una bevanda acidula di modesta gradazione alcoolica che, per distillazione, permette di ottenere un’ottima acquavite.

Rosa canina (Rosa canina): può essere usata con successo per creare siepi interpoderali o difensive, quasi impenetrabili, per le numerose spine robuste che possiede lungo tutti rami.
I piccoli frutti sono considerati le sorgenti naturali più concentrate in Vitamina C, presente in quantità fino a 50-100 volte superiore rispetto alle arance e limoni e per questo in grado di contribuire al rafforzamento delle difese naturali dell’organismo (100 grammi di bacche contengono la stessa quantità di vitamina C di 1kg degli agrumi). L’azione vitaminizzante si lega a quella antiossidante dei bioflavonoidi contenuti nella polpa e nella buccia, che agiscono sinergicamente alla Vitamina C, ottimizzando la circolazione sanguigna.
I frutti di rosa canina vengono impiegati nella medicina popolare per trattare disturbi del tratto urinario e dei reni (inclusi i calcoli renali), come rimedio contro i reumatismi, contro il raffreddore e gli stati febbrili e perfino contro la gotta e lo scorbuto.
La medicina popolare utilizza anche il ricettacolo (liberato dai peli) dei falsi frutti di rosa canina per trattare diversi tipi di disturbi, quali influenza e raffreddore, disturbi gastrointestinali, carenza di vitamina C, calcoli biliari e leucorrea.

Prugnolo (Prunus spinosa): forma macchie spinose impenetrabili che forniscono protezione agli uccelli ed altri animali; il prugnolo si può utilizzare per le sue qualità fitoterapiche: si raccolgono fiori e frutti maturi, entrambi con proprietà lassative, diuretiche, depurative, corroboranti, antispastiche. I fiori devono essere raccolti dalla fine di marzo, in giorni asciutti, e fatti essiccare in un luogo all’ombra. Con questi fiori viene preparata un’ottima tisana depurativa, con funzione drenante. I frutti freschi si raccolgono in pieno autunno, meglio dopo una gelata, quando perdono il sentore acidulo. Sono ottimi lassativi, ma si possono anche essiccare utilizzando un essiccatore domestico: con le bacche secche si possono preparare ottimi liquori o sciroppi dolci. Con il frutto fresco, infine, ci si può cimentare nella preparazione di marmellate e confetture.
Specie erbacee molto diffuse sono:

Gramigna (Cynodon dactylon): infestante delle colture agrarie difficile da debellare per via di un apparato radicale a rizomi particolarmente tenace; in campo erboristico si utilizza la radice: in decotto ha proprietà depurative e diuretiche; tostata serve per la preparazione di un surrogato del caffè adatto a soggetti ipertesi ed ansiosi;

Verbena (Verbena officinalis): nota già agli antichi per le sue proprietà terapeutiche, è largamente usata in erboristeria. È ricca di principi attivi come verbenina, flavonoidi, tannini, oli essenziali, saponine e olio con note ed efficaci proprietà terapeutiche affidate a decotti per uso interno (proprietà: antinevralgiche e antidolorifiche; depurative e disintossicanti; antispasmodicche e antinfiammatorie; epatoprotettrici; antidepressive; sedative per la tosse). Le proprietà astringenti, emollienti e cicatrizzanti sono invece esplicate da impacchi preparati mediante i suoi infusi.

Carota selvatica (Daucus carota): non ha usi particolari alimentari, benché si possano usare le foglie tenere in insalata e le radici tagliate a pezzi e fatte bollire, poi condite. Dai semi si estrae un olio, utilizzato nella fabbricazione di liquori e nella preparazione di composti aromatici: dal delicato profumo di iris, viene impiegato in profumeria e nelle creme antirughe miscelato e combinato con altri oli di origine vegetale.
Le radici vengono impiegate nell’industria per l’estrazione di carotene e di coloranti; viene indicata come vitaminica, rimineralizzante, stimolatrice delle difese immunitarie, oftalmica, diuretica e cicatrizzante. Per applicazioni dermatologiche, dai semi si ottiene un olio essenziale utilissimo per la cura della psoriasi, degli eczemi e delle dermatiti. I semi e i frutti della carota selvatica hanno proprietà diuretiche.

Cicoria dei campi (Cichorum intybus): per scopi medicinali si raccoglie la radice durante tutta l’estate (usata tramite decotti) e le foglie prima della fioritura (da esse, macerate opportunamente, si può ottenere una crema rinfrescante per il viso); tramite depurazione e disintossicazione stimola le funzioni dell’intestino, del fegato e dei reni grazie alle proprietà digestive, ipoglicemizzanti, lassative, colagoghe (facilita la secrezione biliare verso l’intestino) ed è cardiotonica (regola la frequenza cardiaca). Dai fiori si possono estrarre liquidi utili per curare alcuni tipi di oftalmie. La polpa della radice può essere utile per alcune infiammazioni (proprietà antiflogistica). In cucina l’utilizzo più frequente è quello delle foglie nelle insalate (fresche o cotte).

Linaria o linaiola (Linaria vulgaris): contiene tannini, mucillagini, pectine, acidi organici; sulla pelle arrossata in generale la Linaiola ha un buon effetto astringente ed emolliente; è utile anche sulle zone di cute affette da foruncoli e per detergere le palpebre infiammate e le zone attorno agli occhi utilizzandola al posto della sola acqua. Per uso interno si attribuiscono alla Linaiola proprietà diuretiche, lassative, depurative del fegato; a tale scopo conviene tuttavia utilizzare altre piante di più sicura e studiata efficacia. I fiori della Linaiola venivano usati per tingere in giallo le stoffe di cotone.

Stoppione o cardo campestre (Cirsium arvense): i semi sono un’importante fonte di cibo per cardellini, fanelli ed altre specie di fringillidi; le foglie invece fungono da nutrimento per le larve di oltre 20 specie di farfalle tra cui Vanessa cardui e Ectropis crepuscularia e per numerose specie di afidi.
Tradizionalmente si utilizzavano le radici per stimolare la digestione, per depurare il fegato, come lassativo e contro il prurito cutaneo. Le foglie giovani si usano in cucina lessate con aglio e olio.
La radice veniva masticata per trattare il mal di denti, per stimolare la digestione ed eliminare i gas intestinali. È anche una buona pianta mellifera.

Convolvolo dei campi o vilucchio (Convolvulus arvensis): la sua tendenza a ricoprire qualunque sostegno e a invadere il terreno a discapito delle altre piante ne ha fatto il simbolo dell’invadenza e della civetteria: i Greci, nell’antichità, ritenevano che le Baccanti fossero use adormarsi il capo con corone di edera e fiori di convolvolo.
Tulle le parti della pianta, specialmente le radici, possono essere utilizzate come rimedi fitoterapici (infuso, soluzione idroalcolica, polvere, succo fresco) per le proprietà lassative, colagoghe e toniche della digestione. La pianta intera macinata, per uso esterno, è utile a maturare foruncoli ed ascessi.

Aspraggine o erba lattaiola (Picris echioides): è un’erba commestibile dal sapore simile alla cicoria, utilizzata in cucina in cucina previa cottura, da sola o insieme ad altre verdure per la preparazione di minestroni, zuppe o per farcire torte rustiche e focacce.
A questa pianta selvatica sono riconosciute inoltre proprietà rinfrescanti, emollienti, lassative antiemorragiche e antinfiammatorie; i decotti preparati con le sue foglie sono un toccasana per la disinfezione delle ferite, per la cura delle piaghe e per le escoriazioni.

Crespigno o grespino (Sonchus oleracerus): ottima pianta commestibile allo stato giovanile (cruda in insalata), mista ad altre erbe di campo oppure lessata e usata contorno, condita con olio e limone o passata in padella.
Il crespigno veniva impiegato in erboristeria per le sue proprietà depurative, diuretiche, epatodetossicanti e soprattutto per la sua azione coleretica (stimolante la bile), ma oggi quasi completamente trascurata. La radice si usava, tostata, come surrogato del caffè (come la cicoria).

Alcuni ex coltivi possono diventare prati a prevalenza di erba mazzolina (Dactylis glomerata); su terreni erosi e nelle adiacenze dei calanchi in valle del Sillaro è assai frequente notare la predominanza di sulla (Hedysarum coronarium), dalla caratteristica fioritura rosso porpora che spicca nei mesi tardo primaverili.
I prati ad erba mazzolina, se lasciati indisturbati, regrediscono e vengono sostituiti dalle praterie steppiche arbustate: in altre parole la vegetazione evolve a condizioni di maggiore naturalità. Nel caso questi prati vengano interessati dal pascolamento o da sfalcio, essi muteranno in direzione dei brometi (vedi ambiente n.9 “Prati permanenti a bromo”).
I prati ad erba mazzolina caratterizzati da maggiore ristagno idrico (zone con minore soleggiamento, versanti esposti a Nord) vedono una proliferazione decisa di arbusti come i rovi e la vitalba; in ambienti caratterizzati da terreni sciolti (derivanti spesso da discariche di terra o immondezzai) si insedia il sambuco (Sambucus nigra) e le tre specie danno vita ad aggruppamenti alto arbustivi comunemente diffusi lungo le scarpate di bordo strada e ai margini dei ruderi.
In questa composizione di boscaglia a sambuco appare sovente anche la robinia (Robinia pseudacacia), albero di origine americana, da noi considerato “invadente” (si pensi che i funghi della nostra flora non riescono a stabilire simbiosi con il suo apparato radicale: in un castagneto in cui arrivi la robinia, porcini, ovuli – e pure le castagne – scompaiono), ampiamente diffuso su terreni smossi.
Sambuco (Sambucus nigra): il sambuco presenta proprietà medicinali-erboristiche riscontrabili nei frutti e nei fiori. Tutto il resto della pianta (semi compresi) è velenoso poiché contiene il glicoside sambunigrina. Con i fiori è possibile fare uno sciroppo che, dopo diluizione in acqua, produce una bevanda dissetante che si può anche fermentare. Lo sciroppo entra anche nella preparazione di alcuni cocktail, come l’Hugo. I fiori sono commestibili e in alcune parti d’Italia sono consumati all’interno di frittelle, oppure passati in pastella e fritti.
Le bacche sono commestibili solo dopo cottura e vengono impiegate per gelatine e marmellate, delle quali non si deve abusare a causa delle proprietà lassative. Le bacche vengono utilizzate anche per minestre dolci.
La pianta viene utilizzata anche a scopo ornamentale, mentre dal tronco si ricava un legno duro e compatto, utilizzato come combustibile e per lavori al tornio; il legno dei giovani rami al contrario è tenero e fragile, con l’interno costituito da una sostanza a consistenza spugnosa. Questa peculiarità ha permesso, nella tradizione popolare italiana, la realizzazione di semplici flauti.

Robinia o acacia (Robinia pseudacacia): in alcuni ambienti, specie quelli degradati dall’uomo, questa pianta si comporta come specie invasiva: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità e per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone a crescita più lenta. Inoltre la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree, un minor numero di esemplari di specie autoctone e scarsità di funghi.
L’acacia è una pianta altamente nettarifera ed ha una grande importanza nell’apicoltura. Il miele di acacia è senza dubbio tra i più conosciuti ed apprezzati ed è il miele monoflora più diffuso per via del suo colore chiaro, per il fatto che rimane liquido indipendentemente dalla temperatura, per il suo odore leggero, il suo sapore delicato e la sua bassissima acidità.

Alcune specie animali traggono la maggior parte delle proprie risorse alimentari sui campi coltivati ed è per questo che sono facilmente osservabili in queste aree.
Il fagiano (Phasianus colchicus) ad esempio è una specie molto comune, che si raduna spesso sui coltivi, anche accanto alle strade, per cercare cibo: in queste aree è possibile osservare diversi esemplari incuranti del passaggio delle auto. Il fagiano fu introdotto in Europa dalla Cina almeno dal medioevo, come specie cacciabile di pregio. Questo uccello risulta inconfondibile, sia per le dimensioni che per la colorazione unica del maschio: una lunga coda barrata, penne marroni e nere sul corpo su cui spicca la testa verde scura con riflessi viola e le guance rosso vivo, contornata da un collarino bianco. A testimonianza del grande dimorfismo sessuale presente nella specie, la femmina è invece uniformemente marrone, macchiettata di nero. Mentre si cammina lungo i sentieri può capitare di spaventarsi non poco quando il tipico verso roco del fagiano insieme al rumore delle ali, ci segnala un esemplare che spicca il volo a pochi passi da noi, impaurito dalla presenza umana.

Anche la lepre (Lepus europaeus) è un animale estremamente comune da osservare nei campi coltivati o nei prati in genere: la sua tipica sagoma con le lunghe zampe posteriori e le grandi orecchie permette di identificarla facilmente. Il mantello è bianco grigiastro nella parte ventrale mentre acquisisce una colorazione variegata di giallo, marrone e grigio sul dorso. Ciò consente all’animale un ottimo mimetismo criptico, che sfrutta talvolta anche con le persone: se sorpresa dalla presenza umana può rimanere immobile confidando nella sua “invisibilità”. In alternativa è possibile vederla scappare a zigzag, per disorientare l’eventuale predatore. Nelle zone prative è molto facile osservare le tipiche tracce del suo passaggio: fatte di colore chiaro, rotondeggianti e compatte per le numerose fibre ingerite.

In tutti gli ambienti della media Valle del Sillaro ma spesso anche in alimentazione sui campi coltivati, risulta sempre più facile avvistare il colombaccio (Columba palumbus), in notevole incremento numerico negli ultimi anni. L’aspetto è quello di un “grosso piccione”, con barre trasversali bianche sulle ali che permettono un facile riconoscimento in volo. Il frullio rumoroso al momento del decollo permette inoltre di individuarne la presenza in maniera preventiva rispetto all’avvistamento.
Una curiosità che vale per l’intera famiglia Columbidi (oltre che per altre specie ornitiche quali il fenicottero o il pinguino imperatore) riguarda l’alimentazione dei pulcini, nutriti con il cosiddetto latte di piccione, una sostanza costituita principalmente da proteine e grassi e prodotta dal gozzo di questi uccelli. Il latte di gozzo viene rigurgitato dai genitori nei becchi dei nidiacei, garantendo un apporto nutritivo esclusivo nei primi giorni di vita, che via via viene integrato con semi e cibo di “svezzamento”.

Anche un altro columbide è in grado di produrre questo nutrimento per i piccoli: la tortora dal collare (Streptopelia decaocto). Specie estremamente comune e diffusa, è giunta dall’Asia in Europa a partire dal ‘900. Oggi sta minacciando e soppiantando sempre di più le specie affini autoctone (come la tortora selvatica). La tortora dal collare ha un piumaggio uniforme dal colore grigio-rosa (tortora appunto), con la punta delle ali scura e un semicollare nero sulla nuca, da cui trae origine il nome comune. È specie molto rumorosa, dal tipico canto profondo.

Sarà sicuramente capitato anche a voi di vedere grandi stormi di uccelli muoversi all’unisono, in una ipnotica danza nel cielo. Quasi sicuramente era uno stormo di storni (Sturnus vulgaris), in movimento sulla città dove è tipicamente diffuso. Ma non è raro avvistarlo nelle campagne, appollaiato sui fili della luce on in alimentazione sui campi in gruppi anche molto numerosi. Da lontano potrebbe essere scambiato per un merlo, data la colorazione scura e il becco giallo. Le dimensioni inferiori aiutano nella distinzione, insieme alle macchie biancastre uniformemente distribuite nel piumaggio e una vistosa iridescenza verde-viola sulle penne nere. Il canto dello storno è molto vario, in quanto è in grado addirittura di imitare i canti degli altri uccelli!
