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Il torrente Sillaro, procedendo dalla sua sorgente in direzione Nord, può essere incrociato già nei pressi dell’abitato di Piancaldoli (in loc. Mulina) poi alla confluenza con il Rio Zafferino (in loc. Molino della Madonna, laddove è presente un geosito di rilevanza regionale) grazie alla strada asfaltata che, scendendo ripidamente, costeggia il lago di pesca sportiva.

Scendendo al fondovalle dal sentiero che passa da loc. Cà di Guzzo (sinistra fluviale) o dalla strada che conduce a loc. Tomba scendendo da loc. Belvedere (destra fluviale) è possibile, a piedi o in bicicletta, costeggiare il torrente Sillaro nel suo lento scorrere verso valle su una pista camionabile con il fondo in ghiaia non sempre in buone condizioni; nella stagione estiva ed – in generale – quando l’apporto idrico è scarso, è possibile attraversare il corso d’acqua senza particolari difficoltà laddove sono predisposti guadi. Attenzione ai periodi piovosi: il regime torrentizio del Sillaro è caratterizzato da piene rapide e impetuose.

Laghi di ex cava

Osservando la carta geologica della valle del Sillaro si può notare come tutto il corso d’acqua sia caratterizzato dalla presenza di sabbie, ghiaie o limi di origine fluviale attualmente soggetti a evoluzione dovuta alla dinamica fluviale.

È evidente che tali depositi, di grande interesse per il settore edilizio, risultino facilmente accessibili quando a ridosso dell’alveo, dove lo strato fertile di terreno non è consolidato e dunque non utile a fini agricoli; inoltre gli operatori di cava sono propensi ad operare a ridosso del torrente (anche per via della modalità storica di estrazione delle ghiaie direttamente dal letto del corso d’acqua) usando tecniche che sfruttano la capacità della corrente di apportare sempre nuovi materiali nelle fosse predisposte al loro accumulo.

Lungo il corso del Sillaro, a partire da Lago Ottavia e giù sino al campo da Golf di Castel San Pietro Terme, si trovano una cava attiva (Cava Monticino, pochi km a Nord di loc. S. Martino in Pedriolo) ed una lunga serie di bacini artificiali creati per il recupero delle aree di ex cava, enormi crateri inadatti ad ospitare alcuna forma di vita.

I recuperi delle aree di ex cava sono stati realizzati in modo tale da operare una valorizzazione naturalistica dei luoghi capace di migliorare nel complesso la situazione ambientale precedente: non solo quella dovuta all’attività estrattiva, ma anche quella dell’agricoltura intensiva. I recuperi infatti sono impostati al fine di assicurare alla vegetazione naturale un ruolo centrale e per formare habitat che favoriscano una maggiore biodiversità, anche faunistica, evolvendo nel modo più naturale possibile.

La presenza di riserve d’acqua in un fondovalle a tratti fortemente antropizzato (specialmente nella bassa valle del Sillaro) rappresenta una importante risorsa ambientale: si possono instaurare fitte reti di relazioni fra specie vegetali ed animali e favorire la presenza (anche grazie all’introduzione antropica di fauna ittica) di anfibi, uccelli, mammiferi, molluschi, crostacei, insetti.

Inoltre, in una valle agricola e dal clima estivo tendenzialmente arido come quella del torrente Sillaro, la presenza di riserve d’acqua rappresenta una importante risorsa per le coltivazioni e gli allevamenti qui presenti.

L'ambiente del fondovalle

L’aspetto più diffuso e caratteristico della vegetazione che si insedia nei fondovalle nei pressi degli alvei torrentizi è quello dei saliceti, costituiti in prevalenza da specie con il portamento di grossi arbusti o alberelli.

Salendo di quota rispetto alle zone di bassa valle, questi raggruppamenti vegetali sono formati soprattutto dal salice purpureo (Salix purpurea) e dal salice a foglie lanose o ripaiolo (Salix eleagnos). È costante anche la presenza del pioppo nero (Populus nigra) che, grazie al suo portamento longilineo, conferisce ai saliceti la fisionomia di cespuglieti alberati.

I saliceti con salice purpureo tendono a localizzarsi su depositi fluviali ricchi di ghiaie (dunque nei tratti di alta e media valle del Sillaro) e soggetti a periodiche inondazioni o investiti da onde di piena talmente rovinose da distruggerli del tutto per alcuni tratti. Queste boscaglie sono capaci di riformarsi in breve tempo, grazie al loro rapido accrescimento, sui detriti lasciati dalle acque di piena.

Le specie

Salice purpureo (Salix purpurea): è una delle più attive specie colonizzatrici dei greti fluviali e dei suoli umidi in prossimità di corsi d’acqua; ama le zone soleggiate; l’impiego del legname di salice purpureo è estremamente diffuso negli interventi di ingegneria naturalistica per la sua plasticità ambientale ed adattabilità e per le sue ottime caratteristiche biotecniche.
Al pari di altre specie di salice, la corteccia di questa pianta contiene un principio attivo, la salicina, che ha proprietà antifermentative, febbrifughe, astringenti ed antireumatiche.

Salice a foglie lanose o ripaiolo (Salix eleagnos): è un salice a portamento arbustivo che in buone condizioni di substrato può però assumere dimensioni anche maggiori; in interventi di ingegneria naturalistica (impiego di materiale vegetale per sistemazioni spondali o di versante in caso di dissesto idrogeologico) è abbinato al Salix purpurea, con il quale condivide molte caratteristiche ed attitudini di impiego.
Il nome specifico deriva dal greco ‘helos’ (palude), e ‘hagnos’ (puro, bianco), in riferimento all’habitat e al tipico tomento bianco delle foglie;

Pioppo nero (Populus nigra): come il salice, il pioppo nero gioca un ruolo ecologico di primo piano, vista la sua ricca e diversificata entomofauna. Sono oltre 500 le specie ospitate dal genere Populus. La Tortrice, la Saperda, la Crisomela, il Bombice o la Sigaraia sono solo alcune delle più conosciute specie di insetti, alle quali si aggiungono centinaia di specie parassite di queste ultime. Inoltre le dimensioni del pioppo nero e la formazione di numerose cavità durante l’ultima parte della sua vita creano nella sua chioma e nel suo tronco habitat apprezzati dal picchio, dal nibbio bruno, dal falco subbuteo (o lodolaio), oppure dai pipistrelli, scoiattoli e martore.
Già i greci raccomandavano di usare una pomata a base di gemme di pioppo per curare infiammazioni cutanee e le emorroidi. Anche al giorno d’oggi le proprietà anti-infiammatorie, diuretiche e calmanti degli estratti di gemme di pioppo nero sono sfruttate per curare affezioni dolorose. Le gemme servono alla fabbricazione di sciroppi contro la tosse e di tonici ricostituenti da prendere nella stagione primaverile.

In anse fluviali più tranquille, dunque procedendo lungo il corso del torrente Sillaro da Sud verso Nord, dove si depositano materiali terrosi più fini, si possono formare boschi costituiti prevalentemente da ontani neri, salici, pioppi a seconda delle caratteristiche salienti dei sedimenti fluviali e dalla eventuale presenza di ristagni.

Laddove è prevalente la presenza di ghiaie troviamo:

Ontano nero (Alnus glutinosa): oltre a svolgere una funzione ecologica nel mantenimento degli ecosistemi fluviali, le formazioni pure o miste a ontano nero sono utili per il consolidamento delle sponde dei corsi d’acqua e ricoprono perciò un ruolo collaterale di tutela dell’ambiente contro i dissesti idrogeologici.

La corteccia dell’ontano nero contiene tannini, alnulina, protoalnulina, emodina. A questi principi attivi, in particolare i tannini, sonoattribuite proprietà febbrifughe, blandamente antinfiammatorie, astringenti. Il decotto della corteccia è inoltre impiegato nell’industria dei liquori come componente degli amari.

Le foglie hanno invece proprietà diuretiche e astringenti. La farmacopea popolare attribuisce alle foglie anche proprietà antireumatiche, vermifughe, antisecretive e in particolare galattofughe. Nella tradizione popolare si usavano le foglie di ontano nero per ridurre la sudorazione.

Salicone (Salix caprea): specie pioniera che colonizza i margini dei boschi; il legno di questa pianta, tenero e poco usato, un tempo veniva utilizzato per fabbricare le mollette dei panni ed i manici degli attrezzi agricoli. I rami flessibili erano usati per realizzare cesti (come per il vimini).
Come gli altri salici, la sua corteccia contiene anche salicina (usata nell’industria farmaceutica) e tannini; il salicone è una pianta mellifera, dunque ideale per essere piantata anche da sola per la sua fioritura che attira api e pronubi.

Salice viminale (Salix viminalis): di questa pianta si sono sempre impiegati i giovani getti molto lunghi, diritti, resistenti e flessibili idonei a realizzare panieri, stuoie e oggetti vari; essenza conosciuta col nome volgare di “vetrice” o vimine. È assai comune vederne filari capitozzati per aumentare la produzione dei rami.
Il salice viminale è un noto iperaccumulatore di metalli pesanti come cadmio, cromo, piombo, mercurio, idrocarburi del petrolio, solventi organici, ecc. e come tale è uno dei più accreditati candidati per il fitorisanamento (impiego di specie vegetali per la bonifica di suoli inquinati).

Laddove il suolo vede una maggiore presenza di sabbie e argille, quindi tendenzialmente nelle zone della valle del Sillaro più prossime allo sbocco in pianura, troviamo:

Pioppo bianco (Populus alba): pianta arborea essenziale nell’azione di consolidamento degli argini dei fiumi in relazione all’ampia estensione dell’apparato radicale che si dirama dalla pianta madre per oltre venti metri. Il pioppo tollera suoli che possono rimanere umidi anche tutto l’anno e nella sua distribuzione spontanea si trova associato ad altre specie come ontano nero, frassino, olmo e salice bianco; è comune la coltivazione del pioppo in filari per l’utilizzo del legname, impiegato nella produzione di cellulosa, compensati e mobili;

Salice bianco (Salix alba): in lingua celtica il nome Sal-lis significa “vicino all’acqua” a conferma del fatto che i salici crescono bene in luoghi freschi, dal terreno ben intriso di acqua come le rive dei laghi, dei fiumi, o in prossimità di zone paludose. La corteccia dei rami del salice contiene glicosidi fenolici; fra essi spicca la salicina, il principio attivo più interessante della pianta per le sue proprietà analgesiche, antipiretiche ed antireumatiche. Per queste azioni il salice è utilizzato come integratore alimentare naturale, antinfiammatorio, antinevralgico, antifebbrile. Utile in caso di reumatismi; dolori articolari, muscolari, mal di schiena; nevralgie; ottima contro il mal di testa; febbre; malattie da raffreddamento.

Assieme a queste specie arboree è comune trovare specie erbacee come:

Meraviglia gialla o enotera (Oenothera biennis): pianta erbacea biennale dai vistosi fiori gialli; dai semi maturi si può ricavare un olio contenente acidi grassi essenziali polinsaturi (acido gamma-linoleico “GLA”) con proprietà anti-infiammatorie, anti-allergiche, contro le malattie cardiovascolari, l’artrite; può essere usato come integratore alimentare;

Tirso d’oro o verga d’oro (Solidago serotina): pianta di origine nord americana naturalizzata, con infiorescenze gialle ed interessanti capacità medicamentose: il rizoma contiene inulina, con proprietà astringente, catartica, diuretica, febbrifuga ed emostatica.

L’ambiente di fondovalle, caratterizzato anche da costruzioni e infrastrutture viarie, offre la possibilità di semplici passeggiate dove è possibile osservare la tipica avifauna legata alla presenza dell’uomo.

Tra le specie più visibili vi è ad esempio la gazza (Pica pica): la sua livrea bicolore, con la parte ventrale bianca e il resto del corpo nero con riflessi blu e verdi permettono un facile riconoscimento di questo uccello, caratterizzato dalla lunga coda e dai versi gracchianti. È conosciuta anche come gazza ladra, per la predilezione di materiale luccicante nella costruzione del grosso nido.

Un altro grosso corvide facilmente osservabile è la cornacchia grigia (Corvus cornix), riconoscibile per la livrea bicolore grigia e nera e per l’imponente apertura alare di 90 cm. È facile sentire il tipico “craaa” che contraddistingue la sua voce, utilizzata per comunicare tra i simili, sia come canto che come richiamo d’allarme. La dieta della cornacchia grigia è molto varia: piccoli animali, insetti, rifiuti, carogne, oltre a frutta e semi. Pur vivendo a stretto contatto con l’uomo, fonte inesauribile di cibo, questo grande uccello è diffidente e si invola senza fare avvicinare le persone. Rimane in grado di sfruttare la vicinanza con l’uomo in ambiti anche molto particolari, che testimoniano una formidabile capacità di apprendimento: è infatti possibile osservare le cornacchie grigie depositare in mezzo alle strade noci o altri frutti che non riescono ad aprire nonostante il potente becco, in attesa di cibarsi della polpa interna dopo che le auto hanno rotto il guscio.

Il codirosso (Phoenicurus phoenicurus) e il codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros) sono di taglia molto più piccola rispetto ai due corvidi precedenti; le due specie condividono il nome comune, dato dalla loro distintiva coda rossa-arancione.

Il codirosso comune è nidificante estivo mentre migra in Africa per l’inverno. La femmina presenta la coda rossa e un piumaggio bruno, leggermente più chiaro nella parte ventrale. Il maschio è invece grigio sulla parte dorsale, rosso-arancione sul petto e sulla coda, nero sul sulla gola e attorno alla parte bassa degli occhi, contornati superiormente da una stria bianca. Questa specie nidifica nelle cavità di alberi e risulta essere, insieme alle cince, tra le maggiori frequentatrici delle cassette nido.

Il codirosso spazzacamino, residente e svernante, trae invece il suo nome dal fatto di essere un codirosso…sporcato di fuliggine! Il maschio è infatti uniformemente grigio-nero, con un pannello bianco sull’ala e l’immancabile coda rosso-arancione. La femmina ha una colorazione marrone-grigia e manca del pannello bianco sull’ala. Il codirosso spazzacamino nidifica in cavità spesso artificiali, quali nicchie dei muretti a secco o nei sottotetti. Questa specie difende attivamente la zona del nido, talvolta volando insistentemente attorno alle persone che si avvicinano incautamente al nido stesso, per cercare di allontanarli.

Il merlo (Turdus merula) è sicuramente tra gli uccelli più noti, in quanto estremamente comune anche nelle aree verdi urbane e facile al riconoscimento: il maschio è tutto nero con il becco giallo acceso, mentre la femmina è brunastra con striature nella parte ventrale e il becco scuro. Sempre alla ricerca di lombrichi, è facile individuare la sua tipica andatura a saltelli e soste, per l’osservazione di eventuali prede. Il merlo nidifica tra i cespugli, deponendo uova azzurre che spesso si trovano alla base dopo la schiusa o dopo essere stati predati. Il repertorio acustico del merlo è molto vario: da versi schioccanti e acuti a suoni più metallici fino al vero e proprio canto, melodico e flautato.

Tra i visitatori più comuni delle siepi attorno alle costruzioni vi è anche il pettirosso (Erithacus rubecola), un piccolo uccello riconoscibile dal piumaggio bruno sulla parte dorsale, bianco sulla parte ventrale e un arancione carico come “bavaglino”. La capacità di questa appariscente specie nel resistere all’inverno e la sua colorazione hanno da sempre attirato l’interesse umano, che ha legato il pettirosso ad una leggenda: cercando di liberare Gesù dalla corona di spine, questo uccellino si ferì e rimase da allora questa macchia a testimonianza della sua generosità. Questa leggenda e l’aspetto delicato del pettirosso non devono però trarre in inganno: durante la stagione degli amori i maschi si scontrano aspramente tra loro per la conquista delle femmine. Al tempo stesso rimane diffidente nei confronti dell’uomo, ma non difficile da osservare.

Spostandosi dalle abitazioni verso il torrente Sillaro sarà possibile l’osservazione della ballerina bianca (Motacilla alba), tipicamente riscontrabile nelle vicinanze di case o di corsi d’acqua. Il nome di questo snello uccello dalla colorazione grigia, bianca e nera, deriva dal comportamento tipico quando si trova a terra: i movimenti a scatti e la lunga coda mossa costantemente su e giù hanno fatto legare la sua figura ad una danzatrice. Nel territorio è stanziale e nidificante, predatrice di insetti, che preferisce catturare in aree aperte, con scarsa vegetazione come prati radi, zone asfaltate o tetti.

Muovendosi definitivamente verso i laghetti e i boschi ripariali è possibile incontrare alcune specie ornitiche tipicamente legate a questi habitat.

Il germano reale (Anas platyrhynchos) ad esempio è l’anatra più diffusa in assoluto, progenitrice delle specie domestiche e facilmente riconoscibile dalla colorazione tipica: nei maschi si distingue una testa color verde metallico con collarino bianco, petto marrone e corpo grigio con coda nera e “finestra” blu sulle ali. Questa caratteristica è l’unica che conservano anche le femmine, uniformemente colorata di marrone screziato di nero. Nei dintorni del Villaggio della Salute Più possono ritrovarsi negli specchi d’acqua, dove si radunano anche in gruppi numerosi.

Una particolarità che riguarda tutte le specie di anatre: in estate, durante la muta delle penne necessarie per il volo, anche gli appariscenti maschi diventano mimetici come le femmine, entrando in una fase chiamata “eclissi”, che serve loro a proteggerli in un momento in cui sono molto più vulnerabili, non potendo volare via in caso di agguato di un predatore.

Visibile nelle fasce ripariali lungo fiumi a lento scorrimento, dove può trovare i piccoli pesci che costituiscono la sua dieta, il martin pescatore (Alcedo atthis) è un piccolo e coloratissimo uccello, in grado di perlustrare l’acqua con piccoli voli librati. Il piumaggio ha una colorazione blu-verde sul dorso e arancione inferiormente e l’intero corpo ha una forma estremamente idrodinamica, in grado di tuffi precisi per la cattura delle prede. Seppur variopinto, la taglia piccola e l’abitudine a stare immobile per osservare attentamente il passaggio delle prede non lo rendono particolarmente visibile, se non nei veloci voli a pelo d’acqua che tipicamente sono sottolineati da un breve verso di richiamo.

Residente e svernante in gran parte nel territorio della media Valle del Sillaro, l’airone cenerino (Ardea cinerea) è invece un uccello molto grande e facile da avvistare lungo i corsi d’acqua. Il piumaggio, come suggerisce il nome stesso, è grigiastro, con il collo e la porzione ventrale del corpo bianchi. Risulta dunque facile riconoscerlo grazie alla colorazione e alle dimensioni imponenti (fino a 170 cm di apertura alare); in volo si può identificare anche grazie alla tipica curvatura “a S” del collo. Le lunghe zampe e il becco lungo e appuntito di colore giallo sono in funzione della dieta: alto sui suoi “trampoli” per osservare meglio le prede, l’airone utilizza il becco come una fiocina, per catturare pesci, crostacei, anfibi o piccoli mammiferi, prima di ingoiarli interi.

Un altro uccello legato agli ambienti acquatici è la garzetta (Egretta garzetta): in sostanza un airone di dimensioni minori, con un’apertura alare di 100 cm e un’altezza di 60 cm (contro i 90 cm dell’airone cenerino). Oltre alle dimensioni, si può discriminare sulla base della colorazione completamente bianca con becco nero, come le zampe, che terminano con contrastanti dita gialle chiare. Sia la garzetta che l’airone cenerino nidificano in gruppo su grossi alberi accanto ai corsi d’acqua, andando a formare le cosiddette garzaie, che contano decine di individui.

I percorsi che attraversano questi ambienti

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